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Spesso, è facile fare sovrapposizioni tra la pizzica intesa come danza popolare e la pizzica tarantata. In realtà, mentre la prima ha da sempre avuto uno scopo ludico e conviviale, la seconda è la danza cui si lasciavano andare le tarantate per scacciare il male provocato dal morso della Taranta.

Secondo la credenza popolare, infatti, poteva capitare che, lavorando nei campi, uomini e donne (ma le tarantate erano in prevalenza di sesso femminile) potessero venire morsi da questo aracnide sprofondando in una sorta di delirio psichico. La malattia derivata dal morso della taranta era il tarantismo; la specie che più si avvicina all’interpretazione simbolica della taranta è la Lycosa Tarentula, particolarmente aggressiva nonostante il suo morso non sia in verità particolarmente velenoso. In seguito al morso, il tarantato avvertiva un malessere caratterizzato da stati di assenza, spossatezza, angoscia, convulsioni e spasmi, ma anche comportamenti licenziosi o sconvenienti. Nel mondo contadino difficilmente si ricorreva al medico, era più comune affidarsi alla pratica coreutico-musicale. La musica era ritenuta il mezzo attraverso il quale il tarantato poteva espellere il veleno del ragno e guarire.

Il tarantato si mostrava attratto da determinati colori (solitamente riconducibili alla taranta che aveva inferto il morso) che venivano presentati attraverso fazzoletti, nastri o oggetti colori. I colori che risultavano sgraditi al tarantato potevano procurare manifestazioni di collera, mentre il colore gradito avrebbe contribuito alla cura.
Il rito si svolgeva solitamente presso l’abitazione del tarantato, dove veniva predisposto un perimetro rituale solitamente delimitato dal lenzuolo sul quale il tarantato si muoveva: la danza era segnata da una sorta di identificazione del tarantato con il ragno, aveva origine con una danza del ragno per terminare, si sperava, con la vittoria del tarantato sulla taranta, simboleggiata dalla percussione dei piedi sul suolo al ritmo di musica.
La musica e la danza potevano perdurare per giorni, alle volte il solo rituale coreutico non era sufficiente alla guarigione e diventava necessario recare il tarantato presso la cappella di San Paolo ( considerato il protettore dei tarantati) a Galatina. Durante la festa dei santi Pietro e Paolo si poteva assistere a una lunga processione di tarantati giunti lì per chiedere la grazia al santo: sul retro della cappella si trova un pozzo (adesso inattivo) la cui acqua era considerata fonte di guarigione. In ogni caso, molto spesso, il fenomeno di tarantismo era ciclico e l’estate successiva era facile che si ripresentasse.

La taranta veniva caricata di un alto valore simbolico, da risultare quasi umanizzata: era sempre di sesso femminile e ognuna aveva una sua particolare caratteristica che si rifletteva sul comportamento del tarantato: c’era ad esempio la taranta canterina o ballerina, la taranta vanitosa, quella lasciva, quella malinconica e a ogni tipologia di ragno corrispondeva una determinata musica che andava individuata dai suonatori in base alle risposte del tarantato.
Gli strumenti maggiormente impiegati erano tamburelli, organetti e violini: anche per quanto riguardava gli strumenti musicali, il tarantato poteva manifestare predilezione verso uno in particolare. Alla tipologia della taranta era legata anche la presenza o meno dei testi, che potevano comportare una serie di domande e risposte: una sorta di modo per dialogare con la taranta. Nei testi comparivano inoltre spesso riferimenti ad amori infelici o tormentati e la figura di San Paolo a cui ci si rivolgeva per chiedere la grazia. La figura di San Paolo è stata introdotta con l’avvento del Cattolicesimo: la religione ha in qualche modo riconvertito pratiche pagane e ancestrali. Il tarantismo è, con ogni probabilità riconducibile ai riti orgiastici e al mito di Dioniso e in seguito trasfigurato affinché potesse risultare socialmente accettabile. Con difficoltà le gerarchie ecclesiastiche avrebbero potuto concepire l’esistenza di donne possedute da forze oscure, con ogni probabilità sarebbero state tacciate di stregoneria. Con la giustificazione del morso del ragno, corroborata da leggende e tradizioni popolari e l’intromissione di San Paolo, è stato possibile che le tarantate, da essere considerate delle streghe, siano state ritenute delle malate da curare invocando il santo.

Il fenomeno del tarantismo ha interessato quasi esclusivamente le classi contadine del Salento e questo lo rende facilmente espressione del malessere sociale della società contadina. I contadini lavoravano dieci o dodici ore al giorno, vivevano in abitazioni anguste e diroccate, i rapporti sociali erano circoscritti a contesti familiari o religiosi e non era consentito esternare malesseri personali. Il tarantismo era quindi il momento in cui il tarantato poteva dare sfogo al proprio disagio, libero dai freni inibitori.

Spesso la crisi aveva origine in seguito a un evento scatenante: un lutto, una delusione d’amore, un problema familiare o di salute, e non ultima, a causa della fortissima repressione sessuale della comunità contadina.
Ernesto De Martino, antropologo, figura come uno dei più famosi studiosi del fenomeno del tarantismo e nella sua opera La terra del rimorso ne approfondisce e sviscera gli aspetti studiati da vicino nel 1959, dopo essersi recato nel Salento con un’equipe composta da uno psichiatra, uno psicologo, un musicologo e un sociologo. Obiettivo di tale indagine era dimostrare se il tarantismo fosse una patologia medica causata realmente dal morso della taranta o piuttosto un fenomeno isterico. De Martino dopo aver intervistato donne e uomini tarantati e aver assistito personalmente a episodi di tarantismo, avvalorò la tesi che il tarantismo fosse la manifestazione fisica di un disagio interiore.
Come teorizzato da Rouget (etnomusicologo francese) in Musica e Trance nel 1980

“La funzione della tarantella, della sua musica e della sua danza non è di guarire la tarantata dall’isteria, bensì di darle l’occasione di comportarsi pubblicamente da isterica, secondo un modello riconosciuto da tutti allo scopo di liberarla dalla propria sofferenza interiore”.

Benché si perda ormai nel tempo il fenomeno del tarantismo continua a esercitare un certo fascino, carico della magia di un tempo ancestrale e lontano, che fonde sacro e profano e che continua tuttavia a far sentire il proprio eco, consegnando la pizzica a quell’immaginario di musica e danza noto come “il ritmo che cura” .

 

Vanessa Digennaro – Insegnante e danzatrice di danze popolari

La pizzica è una danza popolare tipica della Puglia e appartiene alla famiglia delle tarantelle. È riconducibile all’alto e basso salento e in base alla collocazione geografica varia anche lo stile della danza.

Nella tradizione salentina esistono tre diverse tipologie di danza: la pizzica pizzica, la pizzica scherma (o danza delle spade) e la pizzica tarantata.

La pizzica pizzica è danzata in coppia e, come molte danze popolari, veniva ballata in occasioni legate al mondo contadino, come la semina, il raccolto, la mietitura e probabilmente affonda le radici in quelle danze di ringraziamento verso le divinità pagane che verranno in seguito sostituite da figure della tradizione religiosa cristiana.

Le tarantelle, cui appartiene anche la pizzica, sono danze che hanno inizio con movimenti lenti, la cui velocità aumenta durante l’esecuzione. Sull’origine del termine “pizzica pizzica” le ipotesi sono svariate: alcuni studiosi ritengono che derivi dal “pizzicare” le corde della chitarra con le dita, altri dal suono delle castagnole, ma l’ipotesi più plausibile lega questo termine al morso (il pizzico) della taranta, poiché questa musica era utilizzata come terapia per guarire le persone morse dal ragno.

Lo strumento più importante della pizzica è il tamburello che dà il ritmo e scandisce il tempo della danza, gli altri strumenti maggiormente utilizzati sono: organetto, chitarra, fisarmonica, violino e altri strumenti diffusi nell’Italia Meridionale.

La terzina, nei 4/4 classici, viene ripetuta due volte.

La danza era occasione di socializzazione e di svago; la pizzica non veniva ballata solamente come danza di corteggiamento, anzi, le occasioni in cui si ballava erano maggiormente feste in cui le famiglie si riunivano ed era quindi più facile che ballassero tra di loro dei consanguinei piuttosto che un uomo e una donna che non si conoscevano. La danza poteva essere eseguita anche da due uomini, come momento di competizione e di sfida: la danza tra due uomini è tipica della zona di Brindisi, soprattutto di Ostuni, dove non era raro che due uomini si prendessero in giro riproducendo passi e pose riconducibili al codice coreutico femminile.

Nella pizzica è molto forte la connotazione dei ruoli ed esistono regole particolarmente rigide da osservare: le donne non possono rifiutare l’invito a ballare e durante la danza devono mantenere compostezza e distacco; i movimenti maschili sono invece più ritmati, forti e veloci.

Nel tempo, la danza ha subito delle modifiche, distaccandosi dalle forme più tradizionali e includendo varianti più moderne grazie soprattutto al revival degli anni ’90 che ha condotto alla nascita di quella che va sotto il termine di “neo-pizzica” .

Durante la danza, i danzatori si muovono all’interno di un cerchio ideale senza potersi mai toccare: il dialogo avviene attraverso lo sguardo e la gestualità. Le posizioni tenute sono sue: ballo frontale e laterale.

La “pizzica-pizzica” è una danza nella quale il gioco dei ruoli è fondamentale: se ballano tra di loro un uomo e una donna, durante la danza, la donna gioca con l’uomo avvicinandosi e allontanandosi senza mai concedersi troppo, mentre l’uomo la insegue; se invece a ballare tra loro sono due donne, le due danzatrici si mettono in mostra l’una con l’altra in una gara di grazia e abilità; la danza tra due uomini, come detto in precedenza è più che altro un momento di sfida.

Le donne esprimono la propria femminilità attraverso l’abbigliamento e gli ornamenti, come la lunga gonna o lo scialle ed eseguendo passi più composti rispetto a quelli maschili; l’uomo invece è tenuto ad esprimete vigore e forza mettendo la donna al centro della danza, cingendola, in alcuni passi, in un abbraccio ideale pur mantenendo la dovuta distanza.

Uno degli accessori femminili utilizzati nella danza è sicuramente lo scialle, che ha sostituito il tradizionale fazzoletto, complemento d’abbigliamento comune nel costume femminile popolare del Sud d’Italia. Lo scialle può essere utilizzato in vari modi arricchendo le figure durante l’esecuzione dei passi: secondo alcune interpretazioni, rappresenterebbe una specie di pegno d’amore, essendo inoltre, proibito il contatto fisico durante il ballo, esso rappresenta una sorta di contatto ideale ma per nessun motivo l’uomo può strapparlo alla donna senza che gli sia concesso.

Lo sguardo è di fondamentale importanza nella pizzica: attraverso esso vengono espressi i sentimenti e le emozioni durante la danza. La postura e i movimenti si rifanno ai retaggi culturali del Meridione: nella danza la donna è pudica, in parte lusingata, in parte contrariata dal corteggiamento, man mano che si lascia coinvolgere dalla danza, la ritrosia iniziale sfocia nella passione e nella malizia.

I ballerini danzano quasi sempre scalzi per sentire il contatto con la terra, non dimentichiamoci che questa danza nasce all’interno di un contesto contadino ed era il momento in cui, messe da parte le fatiche del lavoro dei campi, ci si poteva svagare e socializzare: il piede scalzo facilitava il contatto più intimo con la campagna e il contesto rurale. Non erano rare le formazioni di ronde spontanee, ovvero spazi circolari creati da danzatori, musicisti e pubblico. I musicisti iniziavano a suonare, accorreva la gente fin quando alcuni presenti non iniziavano a ballare, ecco allora che si veniva a creare uno spazio circolare delimitato da suonatori e ballerini al centro del quale danzava una coppia per volta alternandosi.

Attualmente è molto più difficile poter assistere all’esecuzione di ronde spontanee, anche se in alcuni paesi del Salento, questa tradizione continua a essere mantenuta anche se con meno frequenza.

La pizzica scherma è una specie di combattimento danzato eseguito esclusivamente da due uomini che si sfidano simulando l’arma con l’indice e il medio, mentre le altre dita della mano sono ripiegate. I due contendenti si muovono infliggendo e schivando colpi come se le armi fossero reali; lo sfidante colpito esce dal perimetro della danza e lascia il posto a un altro contendente. Non è escluso che tempi addietro, questa danza fosse inscenata per mascherare regolamenti di conti e faide familiari. La sera del 15 Agosto, durante la celebrazione di San Rocco a Torrepaduli, la pizzica  scherma viene ancora praticata durante le ronde.

La “neo pizzica” ha portato a modificare ciò che era il ballo tradizionale rendendolo più elaborato e scenografico e aggiungendovi dei passi e delle movenze propri di altre danze, come ad esempio il tango o il flamenco. Lo sviluppo economico e scientifico registratosi in Italia a partire dagli anni ’60 aveva spinto la popolazione per certi versi a rinnegare quei retaggi tradizionali e folklorici innescando quasi un rifiuto verso la tradizione, considerata uno strascico di ignoranza e arretratezza.

Solo verso la fine degli anni ’70 si inizia a registrare un ritorno d’interesse verso questo mondo arcaico che va sotto il nome di “folk revival” e comprende la riscoperta delle musiche e delle danze tradizionali oltre che dei fenomeni come il tarantismo. Intellettuali e studiosi di tradizioni popolari, subiscono il fascino della cultura contadina in antitesi al progresso economico e si dedicano alla raccolta di materiale etnografico. Tra questi studiosi merita un posto di spicco, Caterina Durante, giornalista e fondatrice del Canzoniere Grecanico Salentino, primo gruppo pugliese di ricerca folklorica.

Il folk revival ha finito con il travolgere le nuove generazioni e di conseguenza questo rinnovato interesse verso la musica popolare e le tradizioni ha finito con il coinvolgere anche la danza. La pizzica da essere la terapia al morso della taranta o la danza popolare ballata durante le festività e i ritrovi familiari diventa il simbolo del Salento anche sotto un punto di vista turistico sfociato nella Notte della Taranta, la più importante vetrina di musica popolare salentina che richiama ogni estate gente da tutta Italia a Melpignano. La prima Notte della Taranta ha avuto luogo nel 1998 e il fenomeno ha poi acquisito sempre più risonanza e rilievo da diventare uno degli appuntamenti imperdibili dell’estate, perdendo le sua iniziale identità e trasformandosi in un mega show da palcoscenico.

Tra le motivazioni alla base del revival della pizzica si è parlato di una specie di ricerca di radici e di identità nella tradizione come risposta all’incertezza derivata dalla globalizzazione e dall’individualismo: rivivere la musica popolare finisce con il rappresentare una sorta di sicurezza data dal senso di appartenenza a una comunità all’interno della modernità. Un nuovo modo, per così dire di riproporre la tradizione con la consapevolezza di vivere in un contesto diverso: trarre sicurezza dal proprio passato per proiettarsi verso il futuro.

 

Vanessa Digennaro – Insegnante e danzatrice di danze popolari